Il nuovo film di Paul Verhoven, regista olandese attivo sulla scena da 47 anni- lui ne ha 78!- è un film choccante, direi addirittura disturbante. L’ambiguità dei personaggi regna sovrana, a partire dalla sua perfetta protagonista, Isabelle Huppert. Lei ha sempre prediletto ruoli border-line, e in questo ricorda un po’ “La pianista” del tedesco Haneke, che era però più misurato e asettico.
In “Elle” la Huppert è una donna cinica, gelida, presuntuosa, che nonostante sia vittima di una violenza orrenda non cede mai le armi, né mostra di sé alcun cedimento. È una donna che fa paura, e ci si chiede se si possa essere davvero corazzati fino a questo punto. La sua reazione alla violenza è talmente spiazzante che lascia attoniti. Elle-Michelle si arma, impara a sparare, indaga da sola senza coinvolgere la polizia, aspetta con pazienza che il suo stupratore torni a farle visita. E quando succederà, sarà ancora una volta diverso da come ci si potrebbe aspettare. Vittima e carnefice sembrano diventare complici e decisi a farsi sempre più male, non ci sono confini morali né limiti alla perversione più dura.
La storia è una fiaba, dicono nelle note per la stampa, ed è tratta dal libro di Philippe Djian che si intitola “Oh”.
Si esce dal cinema turbati, increduli, infastiditi.
È un film certamente ben recitato e ben girato, ma non so se sia un buon film: troppa carne sul fuoco per la protagonista, dal conflitto con la madre a quello col figlio, dal pessimo rapporto con gli uomini a quello mai risolto col padre, si finisce per fare un grande barbecue di emozioni forti e sanguinose che lasciano il gusto acre della carne cruda, troppo cruda.