Com'eri vestita?
24 Febbraio 2018

Com’eri vestita? È una domanda che si sentono rivolgere le bambine e le donne vittime di stupro, ed è una domanda inaccettabile. Il pigiama, la tuta, il jeans, la gonna non possono essere causa di un assalto bestiale, e mai e poi mai giustificare un atto violento e deleterio. Chi lo perpetra non è umano, è bestia affamata che assalta una preda fisicamente più debole per farne scempio. Chi violenta prende con la forza ciò che dovrebbe essere colto con delicatezza e amore, e soprattutto con reciprocità. Per far risaltare questi aspetti agghiaccianti gira da qualche anno una mostra, che trae ispirazione dalla poesia “What I was Wearing”© di Mary Simmerling. L’idea è stata sviluppata nel 2013, in un’istallazione artistica dal titolo “what were you wearing?” da Mary Wyandt-Hiebert, docente alla University of Arkansas, e da Jen Brockman, direttrice del Sexual Assault Prevention Center presso la University of Kansas. E’ nata dal bisogno di scuotere l’attenzione del pubblico e sfatare gli stereotipi sulla violenza sessuale. Troppo spesso infatti, la domanda “Cosa indossavi? Com’eri vestita?” sottende una sfumatura accusatoria, come a dire “te la sei un po’ cercata…”, rivolgendo i riflettori su chi subisce violenza e non su chi la agisce.

Cerchi d’Acqua, centro antiviolenza di Milano, organizza la mostra “Com’eri vestita?” – Rispondono le sopravvissute alla violenza sessuale. Un’installazione in cui i vestiti esposti rappresentano simbolicamente quelli indossati durante la violenza subita e sono accompagnati da brevi suggestioni che le donne hanno voluto condividere, raccontando alcuni elementi della loro esperienza. Da vedere, e da meditare.

Pensiamoci comunque, a come ci vestiamo, e a che messaggio lanciamo attraverso la scelta dei nostri abiti. Come vogliamo essere guardate, e da chi? Vogliamo piacere a noi stesse o ad altri? Desideriamo avere gli occhi puntati addosso o preferiamo non essere notate? Di fatto il nostro abbigliamento racconta di noi, del nostro carattere, del nostro modo di stare al mondo. Fateci caso: se usciamo issate su tacchi alti, oltre a soffrire per tutta la giornata, avremo una camminata incerta, barcollante, e basterà una spinta a farci cadere. Se mettiamo invece delle scarpe basse, e comode, che sensazione di forza e solidità ci regalano! E le scollature? Quanto profonde? E i vestiti? Quanto aderenti? Capisco il desiderio di essere ammirate, è capitato a tutte, e per una sera speciale, una festa, un’occasione ci può stare. Purché non sia una schiavitù. Purché non sia un modello cui dobbiamo attenerci per sentirci sufficientemente belle e accettate. In tal caso meglio liberarsi! Indossiamo ciò che ci fa sentire bene, che ci fa essere a nostro agio, che ci corrisponde al di là delle mode. Vestirsi per sé è una conquista, come non avere più bisogno dell’approvazione degli altri. Essere finalmente guardate come persone e non come oggetti sessuali è un traguardo che si raggiunge con l’età, e fidatevi, non è una condanna ma una benedizione. 

 

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