Sono nelle sale in questi giorni, e approfittando del grigiore che ha cominciato ad avvolgere Milano, e forse molte altre città, vi consiglio di andare nelle sale a vedere queste tre pellicole.
“120 battiti al minuto”di Robin Campillo, Grand Prix al Festival di Cannes, è un film travolgente. Attori giovani e poco conosciuti, regia veloce e sporca, trama avvincente. Siamo a Parigi all’inizio degli anni 90, quando inizia l’epidemia di Aids e nasce un’associazione, Act-up, che è pronta a tutto pur di rompere il silenzio generale. “Silenzio è morte” gridano gli attivisti che occupano gli spazi pubblici non solo con le parole, le immagini o i cartelli, ma anche con i loro corpi spesso insanguinati. Appassionano le discussioni dei malati che scelgono la protesta e la lotta piuttosto che lasciarsi andare alla passività e all’ineluttabile morte. Un film corale su una pagina di attualità che fa riflettere.
“The square” di Ruben Ostlund, -che avevo già apprezzato con il suo “Forza maggiore”- Palma d’oro al Festival di Cannes, è invece un film dall’ironia tagliente e scorretta, che mostra in modo freddo e imbarazzante il gap insopportabile fra la borghesia colta e altera e la povera gente infreddolita agli angoli delle strade. Il protagonista è il ricco curatore di un museo d’arte contemporanea di Stoccolma, e The Square è un’installazione che invita all’altruismo e alla condivisione. Ma ben presto si vedrà che la teoria è molto lontana dalla realtà, e che le contraddizioni in cui spesso si scivola sono tante e dalle conseguenze spesso pesanti. C’è un filo di tensione che tiene assieme gli avvenimenti e che fa scorrere la pellicola come fosse un giallo. L’ho trovato geniale, teso e nuovo, molto interessante.
Infine un film italiano, “Dove non ho mai abitato” di Paolo Franchi, con tre attori che amo: Emmanuelle Devos, Fabrizio Gifuni e Giulio Brogi. Lei soprattutto riesce a catturare ogni frammento e a restituire emozioni e parole non dette con i suoi sguardi malinconici e potenti. È un film sulle occasioni mancate, e sulle fughe: dal proprio destino, dall’amore, dalla passione, e quindi ha un fondo amaro e nostalgico. Francesca-Emmanuelle è scappata da un padre padrone incombente che la voleva nel proprio studio d’architetto, e pur di non sottostare al suo destino segnato di giovane rampolla se n’è scelto uno appannato e insignificante a Parigi, con un marito finanziere e una vita borghese. Quando la malattia del padre la farà tornare a Torino, dovrà fare i conti col suo talento abbandonato, ma anche con la sua paura di vivere e di esporsi. È un film sussurrato, molto delicato, fatto di silenzi e di atti mancati. Struggente, poetico, bello.
Andate al cinema, nessuna tv vi restituirà il brivido del grande schermo e della sala buia!