L’affido, una storia di violenza.
Sarà nelle sale dal 21 giugno il film “Jusqu’à la garde”, tradotto chissà perché in “L’affido, una storia di violenza” dell’esordiente Xavier Legrand. Leone d’argento a Cannes per la migliore regia, Leone del futuro, Premio Venezia Opera Prima Luigi De Laurentis, è anche sostenuto da D.i.Re, Donne in rete contro la violenza, perché mostra con grande efficacia ed empatia cosa significano le parole “violenza assistita e violenza domestica” che spesso sentiamo usare dagli esperti.
È la storia di una separazione conflittuale in cui i due figli vengono usati e presi in ostaggio dal padre per tentare di riavvicinarsi alla madre. Eccezionali gli interpreti: Denis Menochét, con la sua fisicità compatta e minacciosa, Léa Drucker al contrario esile eppure decisa a tentare una nuova vita lontano dall’orco.
La tensione è continua dall’inizio alla fine dei 90 minuti della pellicola. La sensazione di paura è costante e presente in ogni scena, e l’epilogo ricorda “Shining” e lascia la platea senza respiro.
È un film da vedere assolutamente, importante ed essenziale.
La violenza si respira negli sguardi, nei silenzi, nella tensione che permea ogni singola inquadratura. È un film utile, perché fa ben comprendere cosa significa essere vittima di un marito ossessivo, geloso, minaccioso.